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gurii, la mia gratitudine; ed anzi, sopra una certa cosa che vi stava a cuore, vi offrii il mio credito, che non è da disprezzarsi.

«— Ignoro,» riprese Abu Hassan, «quale esser possa il vostro credito, e non ho la minima voglia di metterlo alla prova; ma ben so che i vostri augurii ad altro non riuscirono che a farmi impazzire. In nome di Dio, ve lo ripeto ancor una volta, continuate per la vostra strada, e non angustiatemi maggiormente.

«— Ah, fratello Abu Hassan,» replicò il califfo, abbracciandolo, «non intendo separarmi da voi in questa maniera. Poichè la mia buona stella volle che v’incontrassi una seconda volta, bisogna pure che per la seconda volta esercitiate verso di me quell’ospitalità medesima che mi usaste un mese fa, e ch’io abbia l’onore di ber di nuovo con voi. —

«E di questo appunto protestò l’altro che saprebbesi ben guardare. — Ho bastante potere su me stesso,» soggiunse, «per astenermi dal trovarmi più oltre con un uomo che porta disgrazia come voi. Sapete il proverbio che dice: Prendi sulle spalle il tuo tamburo e vattene. Fatevene l’applicazione. È mestieri ripetervelo tante volte? Dio vi guidi! Mi avete cagionato male bastante; non mi ci voglio esporre di più.

«— Mio buon amico,» ripigliò il califfo, abbracciandolo nuovamente, «voi mi trattate con una durezza cui non mi sarei aspettato. Vi supplico a non tenermi discorsi sì oltraggianti, e persuadervi invece della mia amicizia. Fatemi dunque il favore di raccontarmi ciò che v’è accaduto, a me che altro non vi augurai se non del bene, che ve ne desidero ancora, e che vorrei trovare l’occasione di farvene, onde riparare al male che dite avervi io cagionato, se veramente io n’abbia colpa.» Abu Hassan aderì in fino alle istanze del califfo, e fattoselo sedere vicino: — La vostra incredulità ed importunità,» gli disse, «hanno