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califfo, quegli non avesse ripreso il solito tenore di vita, stimò opportuno, nel disegno di attirarlo presso di sè, di travestirsi il primo del mese da mercante di Mussul, come l’altra volta, per vie meglio eseguire quanto aveva a di lui riguardo stabilito. Scorse adunque Abu Hassan quasi nel medesimo tempo che ne fu da lui veduto, e dalla sua azione comprese tosto quant’egli fosse malcontento di lui, e come avesse intenzione di schivarlo. Laonde, rasentando il parapetto, dove stava l’altro, il più vicino possibile, quando gli fu dappresso, chinò la testa e lo guardò in faccia. — Oh! siete voi, fratello Abu Hassan?» gli disse. «Vi saluto: permettetemi, vi prego, di abbracciarvi.

«— Ed io,» rispose bruscamente il giovane, senza guardare il falso mercante di Mussul, «io non vi saluto: non ho bisogno de’ vostri saluti, nè delle vostre carezze. Andatevene.

«— Come!» ripigliò il califfo; «non mi conoscete più? Non vi ricordate della sera che passammo insieme in casa vostra, un mese fa, e durante la quale mi faceste l’onore di trattarmi sì generosamente? — No,» rispose l’altro col medesimo accento di prima, «non vi conosco, e non so di che cosa vogliate parlare. Andate, torno a ripetervelo, continuate la vostra strada. —

«Non si ributtò il califfo per quella ruvidezza di Hassan, ben sapendo essere una delle leggi da questi impostesi di non tener più commercio col forestiero che avesse una volta trattato; Abu Hassan glielo aveva già dichiarato, ma egli volle fingere d’ignorarlo. — Non posso credere,» tornò a dire, «che non mi riconosciate; non è molto che ci siamo veduti, ed è impossibile che mi abbiate sì facilmente dimenticato. Bisogna che vi sia accaduta qualche disgrazia, la quale v’ispiri tal avversione per me. Eppure dovete ricordarvi che vi dimostrai, coi miei buoni au-