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che videsi circondato da gran folla di popolo. Questi gli dava un pugno, quello uno schiaffo; altri lo caricavano d’ingiurie, trattandolo da pazzo, d’insensato e di stravagante.

«A tutti quei maltrattamenti: — Non v’ha,» egli diceva, «grandezza e forza che in Dio altissimo ed onnipotente. Si vuole ch’io sia pazzo, benchè mi trovi in tutto il mio senno; soffro quest’ingiuria e tutte queste indegnità per l’amor di Dio. —

«In tal maniera Abu Hassan fu condotto all’ospedale, messo ed attaccato in una gabbia di ferro; e, prima di chiudervelo, il custode, indurito a quel terribile mestiere, lo percosse senza pietà con cinquanta nervate sulle spalle e sulla schiena, continuando per più di tre settimane a fargli ogni giorno il medesimo regalo, ripetendogli ogni volta queste stesse parole: — Torna nel tuo buon senno, e di’ se sei ancora il Commendatore de’ credenti.

«— Non ho bisogno del tuo consiglio,» rispondeva il misero; «non sono pazzo, ma se dovessi diventarlo, nulla sarebbe più capace di gettarmi in tale disgrazia delle battiture con cui mi uccidi. —

«Intanto la madre di Abu Hassan veniva ogni giorno regolarmente a trovare il figliuolo, e non potea frenar le lagrime, vedendo sempre più scemare in lui il bell’aspetto e le forze, ed udendolo lagnarsi e sospirare pei tormenti che soffriva. In fatti, aveva le spalle, il dorso ed i fianchi lividi e pesti, e non sapeva da qual lato volgersi per trovar riposo. Fino la pelle gli si cangiò più d’una volta per tutto il tempo che fu trattenuto in quell’orribil dimora. Sua madre voleva parlargli per consolarlo, e procurar di scoprire se fosse sempre nella medesima condizione di spirito circa la mia pretesa dignità di califfo e di Commendatore de’ credenti; ma ogni qual volta apriva la bocca per dirgliene qualche cosa, ei la ri-