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mancava. Prosternatosi quindi una seconda volta davanti al trono e rialzatosi, se ne andò.

«Quell’ordine dato con tal fermezza, fece tanto maggior piacere al califfo, in quanto che conobbe da ciò che Abu Hassan non perdeva il tempo di approfittar dell’occasione per punire l’imano ed i vecchi del suo quartiere, poichè la prima cosa alla quale, vedendosi califfo, aveva pensato, era stata di farli punire.

«Intanto il gran visir continuava a fare il suo rapporto, e stava per finirlo, quando, tornato il giudice di polizia, si presentò per render conto della sua commissione. Si accostò al trono, e dopo la solita cerimonia del prosternarsi: — Commendatore de’ credenti,» disse ad Abu Hassan, «ho trovato nella moschea, indicatami da vostra maestà, l’imano ed i quattro vecchioni; e per prova che adempii fedelmente all’ordine ricevuto dalla sacra vostra persona, eccone il processo verbale sottoscritto da parecchi testimoni fra i primi abitanti del rione.» E nel medesimo tempo cavata dal seno una carta, la presentò al preteso califfo.

«Abu Hassan prese il processo verbale, lo lesse tutto intiero, financo i nomi de’ testimoni, tutte persone a lui note, e quand’ebbe finito: — Va bene,» disse, sorridendo, al giudice di polizia; «sono contento, e m’avete fatto piacere: tornate al vostro posto. Que’ bacchettoni,» disse fra sè, pieno di soddisfazione, «che permettevansi di chiosare sulle mie azioni, e trovavano mal fatto che ricevessi e trattassi in casa mia, i galantuomini, ben meritavano quest’avania e tale castigo.» Il califfo, che l’osservava, penetrò nel di lui pensiero, e sentì in sè stesso una contentezza inesprimibile d’una si bella spedizione.

«Abu Hassan si volse poscia al gran visir, e gli disse: — Fatevi dare dal gran tesoriere una borsa di