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«Dopo tutto ciò ch’eragli accaduto dacchè avevanlo svegliato, e ciò che udiva dalla bocca del gran visir, Abu Hassan più non dubitò di non essere il califfo, come aveva desiderato la notte scorsa; talchè, senza esaminare come o per qual avventura si fosse fatto un cambiamento di fortuna sì inaspettato, appigliossi sul momento al partito di esercitarne il potere. Laonde domandò al gran visir, guardandolo con gravità, se avesse qualche cosa da riferirgli.
«— Commendatore de’ credenti,» rispose il gran visir, «gli emiri, i visiri e gli altri officiali che seggono nel consiglio di vostra maestà, stanno alla porta aspettando il momento ch’ella si degni dar loro il permesso d’entrare, e venirle a rendere i loro soliti ossequi.» Abu Hassan gl’ingiunse subito di farli introdurre, ed il gran visir, voltandosi verso il capo degli uscieri, il quale non attendeva che l’ordine: — Capo degli uscieri,» gli disse, «il Commendatore de’ credenti comanda che facciate il dover vostro. —
«La porta fu aperta, ed in pari tempo entrati gli emiri ed i principali ufficiali della corte, tutti in abito magnifico di cerimonia, avanzaronsi in bell’ordine sino appiè del trono, e resero ad Abu Hassan i loro omaggi, ciascuno al suo posto, col ginocchio a terra e la fronte china fino al tappeto, come alla propria persona del califfo, e lo salutarono dandogli il titolo di Commendatore de’ credenti, giusta l’istruzione avuta dal gran visir; quindi tutti presero i loro posti, a misura che adempivano a questo dovere.
«Finita la cerimonia, e sedutisi tutti, si fece un alto silenzio. Allora il gran visir, sempre in piedi davanti al treno, cominciò a fare il suo rapporto intorno a parecchi affari, secondo l’ordine delle carte che teneva in mano. Erano, per vero dire, affari comuni e di poca conseguenza; ma nulladimeno non