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mene.» Il califfo ed Abu Hassan continuarono a bere ancora a lungo, conversando di cose piacevolissime.

«Era già molto inoltrata la notte, ed il califfo, fingendo d’essere assai stanco del percorso cammino, disse all’ospite che aveva d’uopo di riposo. — Neppur io voglio, da parte mia,» soggiunse, «che per amor mio perdiate nulla del vostro. Prima di separarci (poichè forse domani io sarò già uscito di casa vostra prima che vi destiate), mi compiaccio dichiararvi quanto sia sensibile alla vostra gentilezza, alla tavola ed all’ospitalità che cortesemente mi usaste. La sola cosa che mi dà pena è di non saper in qual modo dimostrarvene la mia riconoscenza. Vi supplico di farmelo conoscere, e vedrete che non sono un ingrato. Non può darsi che un uomo come voi non abbia qualche affare, qualche bisogno, o non desideri infino alcuna cosa che gli facesse piacere. Apritemi il vostro cuore, e parlate schiettamente. Mercante qual sono, non lascio d’essere in grado di poter prestare servigio per me medesimo, o per mezzo de’ miei amici.»

Dinarzade aveva destata troppo tardi la sorella, e l’alba, che sorse in breve, costrinse il sultano ad alzarsi per andar a fare la sua preghiera. L’indomani, Scheherazade, volgendosi a Schahriar, ripigliò la narrazione in codesti sensi:


NOTTE CCLXXXIX


— A simili proferte del califfo, che Abu Hassan prendeva sempre per un semplice mercadante: — Mio buon signore,» rispos’egli, «sono persuasissimo non essere per complimento che mi fate sì gene-