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mente, e prosternandovisi davanti, sclamerebbe: — Ah! qual piacere, qual ventura di vedermi onorata dalla presenza d’una persona sì civile e compiacente, che non isdegna di sedere da me a mensa!
«Finalmente, o signore, sono al colmo della gioia d’aver oggi fatto l’incontro d’un uomo del vostro merito. —
«Queste lepidezze divertivano assai il califfo, il quale aveva naturalmente lo spirito gioviale, e facevasi un piacere di eccitar il giovane a bere, domandando anch’egli spesse volte vino, all’uopo di meglio conoscerlo nel discorso dalla vivacità che il vino gl’ispirava. Per entrare in conversazione, gli domandò come si chiamasse, di che si occupasse, ed in qual guisa passasse la vita. — Signore,» rispose l’altro, «Abu Hassan è il mio nome. Ho perduto mio padre, ch’era mercante, non già, a vero dire, de’ più ricchi, ma almeno di quelli che vivevano con maggior agiatezza a Bagdad. Morendo, mi lasciò una facoltà più che sufficiente per vivere senz’ambizione secondo il mio stato. Siccome la sua condotta a mio riguardo era stata severissima, e sino alla di lui morte io aveva passata la miglior parte della gioventù in grande ritenutezza, volli cercar di riparare il buon tempo, che credeva aver perduto. Ma anche in ciò,» proseguì Abu Hassan, «io mi governai nel modo che non fanno di solito tutti i giovani; essi abbandonatisi sconsideratamente al disordine, e vi durano finchè, ridotti all’ultima miseria, ne abbiano a fare poi resto dei loro giorni una forzata penitenza. Onde non cadere in tal disgrazia, io divisi le mie sostanze in due parti: l’una in fondi, in danaro sonante l’altra, questo destinando per le spose che meditava, e nella ferma risoluzione di non toccar le rendite. Formata poi una società d’amici all’incirca dell’età mia, con quel de-