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La sultana Scheherazade aveva raccontata la storia di Ganem, quella di Zeym e di Kodadad con tanto brio, che il sultano delle Indie, suo sposo, non potè astenersi dal dichiararle, per la seconda volta, di averle ascoltate con sommo diletto.

— Sire,» gli disse allora la sultana, «non dubito che vostra maestà non abbia provata molta soddisfazione vedendo il califfo Aaron al-Raschid cangiar di sentimento in favore di Ganem, di sua madre e della sorella Forza de’ Cuori; e credo ch’ella abbia dovuto trovarsi sensibilmente colpita dalle disgrazie degli uni e dai mali trattamenti sofferti dagli altri; credo anche ch’essa avrà sentito con indignazione la perfidia de’ fratelli di Kodadad, il pericolo corso da questi, e veduto con piacere il valoroso principe, ripristinato ne’ propri diritti, perdonare generosamente ai fratelli; ma sono pur persuasa che se vostra maestà volesse udire la storia del Dormiente svegliato, invece di tutti quei moti di sdegno e di compassione che destato aver deve nel suo cuore quella di Ganem e di Kodadad, e di cui è ancora commosso, questa, per lo contrario, non le ispirerebbe che ilarità e piacere.»

Al solo titolo della novella onde parlato aveagli la sultana, Schahriar, il quale ripromettevasene avventure affatto nuove e piacevoli, avrebbe voluto udirne il racconto in quel giorno medesimo; ma era già tempo di alzarsi, talchè differì alla domane l’ascoltare Scheherazade, la quale, il giorno appresso, dopo che Dinarzade l’ebbe destata, cominciò la novella così: