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de’ suoi primari officiali. Concepì il miserabile una violenta passione per me, cui prese gran cura di celare finchè trovò il destro d’eseguire l’iniquo suo disegno di rapirmi. Fortuna favorisce più spesso le ingiuste imprese, che le buone risoluzioni. Un giorno, il gigante mi sorprese col mio bambino in un luogo remoto, ci rapì entrambi, e per rendere inutili tutte le ricerche che stimava avrebbe fatto mio marito di tal ratto, si allontanò dal paese abitato dai Saraceni, e ci condusse in questo bosco, dove da qualche giorno mi trattiene. Per quanto deplorabile però sia il mio destino, non cesso di provare una segreta consolazione al pensiero che quel gigante, per quanto brutale ed innamorato fosse, non mi usò alcuna violenza per ottenere ciò che sempre negai alle sue preghiere. Non già che non m’abbia le cento volte minacciato di venirne alle più disperate estremità, se non poteva vincere altrimenti la mia resistenza; e vi confesso che testè, quando n’eccitai colle mie parole la rabbia, temeva meno per la vita che per l’onor mio. Ecco, o signore,» continuò la moglie del principe de’ Saraceni, «ecco la mia storia; non dubito che non mi troviate abbastanza degna di compassione per non pentirvi di avermi sì generosamente soccorsa.
«— Certo,madama,» le disse mio padre, «le vostre disgrazie m’hanno intenerito, e ne sono vivamente commosso; ma non istarà in me che la vostra sorte non divenga migliore. Domani, appena il giorno avrà fugate le ombre notturne, usciremo da questo bosco, cercheremo la strada della grande città di Deryabar, di cui sono sovrano, e, se v’aggrada, alloggerete nel mio palazzo, sinchè il principe vostro sposo vi venga a cercare. —
«Accettò la dama saracena la proposta, e alla domane seguì mio padre, il quale, all’uscir dal bosco,