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«Aprì la prima porta, ed entrato in un ampio cortile, vi trovò la donna che gli veniva incontro, e la quale volea gettatogli ai piedi per meglio dimostrargli la propria gratitudine; ma egli ne la impedi. Magnificò ella il di lui valore, innalzandolo al di sopra di tutti gli eroi della terra; a’ quali complimenti egli corrispose, e siccome la donna gli parve molto più amabile da vicino che da lontano, non so se ella sentisse maggior gioia al vedersi liberata dall’orribile pericolo in cui trovavasi, ch’egli ne provasse d’aver reso quell’importante servigio a sì bella creatura.

«I loro discorsi furono interrotti da grida e da gemiti. — Che sento?» sclamò Kodadad; «d’onde partono queste compassionevoli voci che mi feriscono le orecchie? — Signore,» rispose la giovane, mostrandogli col dito una porta bassa che stava nel cortile, «vengono da quel luogo: stanno colà non so quanti infelici che la loro maligna stella fe’ cadere in mano del negro; sono tutti incatenati, ed ogni giorno quel mostro ne traeva uno per mangiarlo.

«— È questo per me il maggior giubilo,» riprese il principe, «di sentire che la mia vittoria salva la vita a quegli sfortunati. Venite, madama, venite a dividere con me il piacere di metterli in libertà; potrete giudicare da voi medesima di qual contento siamo per ricolmarli.» Così dicendo, s’inoltrarono verso la porta del carcere, e mano mano che vi si accostavano, udivano più distintamente i lamenti dei prigionieri; Kodadad, intenerito, ed impaziente di terminare le loro pene, mette prontamente una delle chiavi nella serratura. Non vi pose alla prima quella che facea d’uopo; ne prende un’altra, ed al rumore ch’ei fa, tutti quegl’infelici, persuasi che fosse il negro, il quale venisse, secondo il solito, a portar loro da mangiare, e nello stesso tempo a prendere uno de’ compagni, raddoppiarono i gemiti e le strida.