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dendosela collo straniero, concepirono tutti contro di lui un odio estremo. Intanto il re, amandolo tutti i giorni più, non si stancava di prodigalizzargli i segni del suo affetto. Lo voleva del continuo vicino: ne ammirava i discorsi pieni di spirito e di saviezza, e per far vedere fino a qual punto lo stimava saggio e prudente, gli affidò la custodia degli altri principi, benchè fosse della loro età, di modo che Kodadad diventò l’aio de’ propri fratelli.

«Ma ciò non fece che irritarne l’odio. — Come!» sclamavano; «il re non si contenta d’amare uno straniero più di noi, ma vuol ancora ch’ei sia nostro aio, e che nulla dobbiamo fare senza il di lui permesso? Questo è ciò che non possiamo soffrire. N’è d’uopo disfarci di questo straniero. — Non abbiamo,» diceva l’uno, «che ad andarlo a trovare tutti assieme, e farlo soccombere sotto i nostri colpi. — No, no,» soggiunse l’altro, «guardiamoci bene dall’immolarlo noi medesimi; la sua morte ci renderebbe odiosi al re, il quale, per punircene, ci dichiarerebbe tutti indegni di regnare. Perdiamo lo straniero coll’astuzia: domandiamogli il permesso d’andare alla caccia, e quando saremo lungi dal palazzo, prendiamo la via d’un’altra città, dove andremo a passare alcun tempo. La nostra assenza sorprenderà il re, il quale, non vedendoci tornare, perderà forse la pazienza, e farà morire lo straniero, o lo scaccerà dalla corte per averci permesso d’uscire dal palazzo. —

«Tutti i principi applaudirono a tale artificio, e recatisi da Kodadad, lo pregarono di permetter loro d’andare alla caccia, promettendogli di tornare nel medesimo giorno. Il figlio di Piruzè cadde nel laccio: acccordò il permesso domandatogli dai fratelli, e quelli partirono, nè più ritornarono. Erano già tre giorni che trovavansi assenti, quando il re chiese a Kodadad: — Dove sono i principi? È molto