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di fiori e d’ogni sorta d’erbe odorose; ammirate que’ begli alberi, i cui squisiti frutti ne fanno piegare fino a terra le frondi; gustate il diletto che cagionar devono questi canti armoniosi, formati nell’aria da migliaia d’uccelli di mille ignote specie agli altri paesi.» Zeyn non poteva saziarsi dal contemplare la bellezza delle cose che lo circondavano, notandone sempre di nuove a misura che inoltravano nell’isola.

«Finalmente giunsero davanti ad un palazzo di fino smeraldo, circondato da larga fossa, sulle cui sponde vedeansi di spazio in ispazio alcuni alberi sì alti e folti, che coprivano della loro ombra tutto il palazzo. Rimpetto alla porta, ch’era d’oro massiccio, stava un ponte, formato d’una sola squama di pesce, benchè avesse per lo meno sei palmi di lunghezza e tre di larghezza. Alla testa del ponte scorgeasi una truppa di geni di sterminata altezza, che custodivano l’ingresso del castello con grosse mazze d’acciaio della China.

«— Non andiamo più oltre,» disse Mobarec; «quei geni ci ucciderebbero, e se vogliamo impedirli di venir a noi, ne tocca fare una cerimonia magica.» In pari tempo cavò da una borsa, che portava sotto la veste, quattro strisce di taffettà giallo; con una se ne avvolse la cintura, e si mise l’altra sulla schiena, dando poscia le due altre al principe acciò ne facesse il medesimo uso. Indi, Mobarec distese in terra due grandi tappeti, sul cui lembo sparse alcune gemme, con muschio ed ambra; sedutosi allora sull’uno, e Zeyn sull’altro di quei tappeti, parlò al principe in questi termini: — Signore, ora sto per evocare il re de’ Geni, il quale abita il palazzo che abbiamo davanti agli occhi: possa egli venire a noi senz’ira! Vi confesso che non istò senza inquietudini sull’accoglienza che ci farà. Se il nostro arrivo nella sua isola gli dispiace, comparirà in forma d’un