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dosi abbastanza forte per uscire, vi si dispose. Ma il giorno che aveva stabilito per andar ad ossequiare il califfo, mentre vi si preparava con Forza de’ Cuori e la madre, videsi giungere a casa del sindaco il gran visir Giafar.

«Quel ministro era a cavallo con numeroso corteggio di ufficiali, ed entrando: — Signore,» disse a Ganem, «vengo qui da parte del Commendatore dei credenti, mio padrone e vostro. L’ordine onde sono latore è ben diverso da quello del quale non vi voglio rinnovar la memoria: devo accompagnarvi e presentarvi al califfo, che brama vedervi.» Ganem non rispose al gran visir se non con un profondissimo inchino, e salì sur un cavallo delle scuderie del califfo, che gli fu presentato, e cui egli maneggiò con molta grazia. Si fecero montare la madre e la figliuola su due mule del palazzo, e mentre Tormenta, montata anch’essa sopra una mula, le conduceva dal principe per viottoli remoti, Giafar guidò Ganem per un’altra strada, e l’introdusse nella sala d’udienza. Il califfo già vi stava, seduto sul suo trono, circondato dagli emiri, da’ visiri, da’ capi degli uscieri e da altri cortigiani arabi, persiani, egizi, africani e sirii del suo dominio, senza parlare de’ forestieri.

«Quando il gran visir ebbe condotto Ganem appiè del trono, il giovine mercante fece la sua riverenza, gettandosi col volto a terra; indi, rialzatosi, recitò un bellissimo complimento in versi, col quale, benchè composto d’improvviso, non mancò di guadagnarsi l’approvazione di tutta la corte. Dopo il complimento, il califfo lo fece avvicinare, e gli disse: — Sono soddisfattissimo di vederti, e sentire dalla tua propria bocca dov’hai trovato la mia favorita, e tutto ciò che facesti per lei.» Obbedì Ganem, e parve tanto sincero, che il califfo rimase convinto della verità del suo racconto. Gli fece dare una veste