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si chinò sulla madre di Ganem, la quale non potè rispondere a quel discorso, tanto ne rimase sbalordita. Tormenta se la strinse lunga pezza al seno, e non la lasciò se non per correre all’altro letto ad abbracciare Forza de’ Cuori, la quale, essendosi alzata a sedere per accoglierla, le stese le braccia.

«Quando la vezzosa favorita del califfo ebbe dati alla madre ed alla figlia tutti i segni di tenerezza che potevano attendersi dalla sposa di Ganem, ella disse loro: — Cessate entrambe di dolervi; le robe che Ganem possedeva in questa città, non sono perdute, e trovansi al palazzo del califfo, nel mio appartamento. Ben so che tutte le ricchezze del mondo non varrebbero a consolarvi senza Ganem: tale è il giudizio che faccio della madre e della sorella di lui, se giudicar debbo di esse da me medesima. Il sangue non ha minor forza dell’amore ne’ grandi cuori. Ma perchè disperare di rivederlo? Lo ritroveremo: la fortuna d’avervi incontrate, me ne fa concepire la speranza. Chi sa non sia questo forse l’ultimo giorno dei vostri guai, ed il principio d’una felicità maggiore di quella di cui godevate a Damasco quando c’era Ganem. —

«Stava Tormenta per proseguire, quando giunse il sindaco de’ gioiellieri. — Signora,» le diss’egli, «vidi in questo momento un oggetto assai commovente: è un giovane che un condottiero di camelli conduceva all’ospitale di Bagdad, legato con corde sur un camello, perchè non avea forza di sostenersi. L’avevano già slegato, e stavasi per recarlo nell’ospizio, quand’io, passando di là, avvicinatomi al giovane, lo esaminai con attenzione, e mi parve che il suo volto non mi fosse ignoto. Gli feci alcune domande sulla sua famiglia, ma non potei ricavarne, per tutta risposta, che sospiri e pianti. N’ebbi pietà, e conoscendo, dalla mia abitudine di veder ammalati, ch’egli trovavasi in urgentissimo bisogno d’essere