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rore; ma dimostrò in tal occasione una grande generosità, come sarò per narrarvi la notte ventura.»


NOTTE CCLXXV


— Sire, alla domane, Aaron-al-Raschid diede ordine al gran visir di far pubblicare per tutte le città de’ suoi dominii, ch’egli perdonava a Ganem, figliuolo di Abu Aibu; ma tale pubblicazione riescì inutile, essendo trascorso assai tempo senza udir parlare del giovane mercatante. Tormenta credè allora che senza dubbio non avesse potuto sopravvivere al dolore d’averla perduta. Una terribile inquietudine venne a straziarle l’anima; ma siccome la speranza è l’ultima cosa che abbandona gli amanti, supplicò il califfo di volerle per mettere di far ella medesima ricerca di Ganem; avutone licenza, prese una borsa di mille pezze d’oro dal suo scrigno, ed uscì una mattina dal palazzo, montata sur una mula delle scuderie del califfo, sfarzosamente bardata. Due eunuchi neri l’accompagnavano, tenendo da ciascun lato la mano sulla groppa della mula.

«Tormenta andò di moschea in moschea a far largizioni ai divoti della religione musulmana, implorando il soccorso delle loro preghiere pel compimento d’un affare importante, dal quale dipendeva, diceva ella, il riposo di due persone; passò così la giornata, facendo elemosine nelle moschee colle sue mille pezze d’oro, e verso sera tornò al palazzo.

«Il giorno appresso prese un’altra borsa della medesima somma, e nello stesso equipaggio si recò al ricinto de’ gioiellieri, dove, fermatasi davanti alla porta, e senza smontare, fece da uno de’ suoi eunuchi neri chiamar il sindaco, il quale, uomo caritatevole e che