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NOTTE CCLXXIV


— Sire, quantunque la schiava non avesse mai veduto il re Zinebi, giudicò non per tanto, dal suo seguito, ch’esser dovesse uno de’ primari uffiziali di Damasco, e: — Signore,» gli diss’ella, «quel Ganem che cercate è morto. La mia padrona e sua madre, trovasi attualmente nella tomba che vedete, a piangervi la sua perdita.» Il re, senza fermarsi all’asserzione della schiava, fece praticare dalle sue guardie un’esatta ricerca di Ganem in tutti gli angoli della casa; inoltratosi quindi verso la tomba, vide la madre e la figliuola sedute sur una semplice stuoia, vicino al simulacro che rappresentava Ganem, ed i loro volti gli sembrarono bagnati di lagrime. Quelle povere donne coprironsi de’ loro veli allorchè videro un uomo alla porta; ma la madre, che riconobbe il re di Damasco, alzossi, e corse a prosternarsi a’ suoi piedi. — Mia buona signora,» le disse il principe, «cercava vostro figlio Ganem; è egli qui? — Ah, sire,» sclamò essa; «è molto tempo ch’egli non è più! Volesse Iddio che lo avessi almeno sepolto colle mie mani, e potessi avere la consolazione di possedere in questa tomba le sue ossa! Ah, figlio mio! mio caro figlio!...» Voleva proseguire, ma ne fu impedita dal vivo dolore onde fu colta.

«Zinebi ne rimase commosso. Era quel principe d’indole dolcissima, ed assai pietoso pei mali degl’infelici. — Se Ganem è solo colpevole,» disse fra sè, «perchè punire la madre e la sorella che sono innocenti? Ah, crudele Aaron-al-Raschid! di qual barbaro ufficio m’incaricasti, facendomi ministro della tua ven-