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ch’egli vi sospettava nascosto, checchè gliene avesse detto Tormenta; poi uscì, conducendo seco quella giovane dama, seguita dalle due schiave che la servivano. Quanto agli schiavi del giovane negoziante, non facendovisi attenzione, mescolaronsi tra la folla, e non si sa cosa ne sia avvenuto.»
L’alba che comparve, obbligò la sultana di cessare dalla narrazione. Schahriar si alzò per andar a presiedere il consiglio, ed uscì, mosso a compassione per lo sgraziato Ganem, e biasimando interiormente l’ingiusta collera del Commendatore dei credenti.
NOTTE CCLXXIII
— Sire,» ripigliò l’indomani la sultana, «Giafar fu appena fuor della casa, che i muratori ed i falegnami cominciarono a demolirla, e fecero così bene il loro dovere, che in meno d’un’ora non ne rimase vestigio.
«Il giudice di polizia, non avendo potuto trovare Ganem, per quante perquisizioni avesse fatte, ne avvisò tosto il gran visir, prima che quel ministro giungesse al palazzo. — Ebbene,» gli chiese Aaron-al-Raschid, vedendolo entrare nel suo gabinetto, «hai eseguiti i miei ordini? — Sì, mio signore,» rispose Giafar; «la casa nella quale Ganem dimorava, è atterrata da cima a fondo, e vi conduco Tormenta, vostra favorita: essa sta qui alla porta del gabinetto; la farò entrare, se me lo comandate. Il giovane mercatante però, benchè lo si abbia cercato dovunque, non si è potuto trovare. Tormenta assicura; ch’è partito da un mese per Damasco.
«Non mai trasporto di rabbia eguagliò quello dimostrato dal califfo quando udì che Ganem gli era