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tava. L’officiale, incaricato di quell’ordine, tornò in breve a riferirgli essere alcuni mesi ch’egli non compariva quasi più, ed ignorarsi ciò che il potesse trattenere a casa, se pure vi fosse; il medesimo informò poi anche il visir Giafar del luogo in cui Ganem dimorava, e persino del nome della vedova che avevagli affittata la casa.

«Dietro tali avvisi, ne’ quali poteva fidare, quel ministro, senza frappor tempo, si mise in via coi soldati che il califfo avevagli prescritto di prendere; andò dal giudice di polizia, dal quale si fece accompagnare, e seguito da buon numero di muratori e falegnami muniti degli arnesi necessari per ispianare una casa, giunse davanti a quella di Ganem, la quale essendo isolata, fec’egli circondare da’ soldati, onde impedire che il giovane mercatante gli fuggisse di mano.

«Tormenta e Ganem finivano allora di pranzare. Stava la dama seduta presso una finestra che s’apriva sulla strada, allorchè, udendo strepito, guardò per la gelosia, e veduto il gran visir che si avvicinava con tutto il seguito, dubitò subito di qual cosa si trattasse. Comprese ch’erasi ricevuto il suo viglietto, ma non aspettavasi simile risposta, ed avea sperato che il califfo prendesse in altro modo la cosa. Non sapeva da quanto tempo il principe fosse tornato, e benchè conoscesse la sua tendenza alla gelosia, non temeva nulla da quel lato. Pure la vista del gran visir e dei soldati la fece tremare, non per lei, a dir vero, ma per Ganem, non temendo, riguardo a sè, di giustificarsi, purchè il califfo la volesse ascoltare. Circa a Ganem, ch’ella amava non meno per riconoscenza che per inclinazione, prevedeva che il suo irritato rivale vorrebbe vederlo e potrebbe condannarlo per la sua giovinezza e pel leggiadro aspetto. Piena di tal pensiero, si volse al giovane mercatante. — Ah, Ganem,» gli disse, «siamo