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che all’infedeltà, cui immaginavasi avessegli fatto Tormenta. — E che!» diss’egli, dopo aver letto il viglietto; «sono quattro mesi che la perfida abita con un giovane mercante, del quale ha la sfrontatezza di vantarmi l’attenzione per lei; sono trenta giorni che feci ritorno a Bagdad, ed oggi soltanto le viene in pensiero di darmi sue nuove? L’ingrata! mentre io consumo i dì a piangerla, ella li passa a tradirmi! Or via, vendichiamoci d’un’infedele e del giovine audace che m’oltraggia.» Sì dicendo, quel principe alzossi, ed entrò in una vasta sala, ove soleva farsi vedere e dar udienza ai signori della corte. Ne fu aperta la prima porta, e tosto i cortigiani, che attendevano quel momento, entrarono. Il gran visir Giafar comparve, prosternossi davanti al trono, sul quale stava seduto il califfo, e quindi rialzatosi, si tenne in piedi davanti al padrone, il quale gli disse in aria da fargli comprendere che voleva essere prontamente obbedito: — Giafar, la tua presenza è necessaria per l’esecuzione d’un ordine importante, di cui sono per incaricarti. Prendi con te quattrocento uomini della mia guardia, ed informati senza indugio dove dimori un mercante di Damasco, chiamato Ganem, figlio di Abu Aibu. Quando lo saprai, recati a casa sua, e falla atterrare sino alle fondamenta; ma prima t’impossesserai della persona di Ganem, e me lo condurrai qui con Tormenta mia schiava, che da quattro mesi abita con lui. Voglio castigarla, e dare un esempio del temerario ch’ebbe l’insolenza di mancarmi di rispetto. —
«Il gran visir, ricevuto quell’ordine formale, fece una profonda riverenza al califfo, mettendosi la mano sul capo, per mostrare che volea perderlo, anzichè di sobbedirgli, quindi uscì. La prima cosa che fece, fu di mandar a chiedere al sindaco de’ mercanti di stoffe forestiere e di tele fine, notizie di Ganem, con ordine speciale d’informarsi della via e della casa dove abi-