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dò un alto grido, e svenne tra le braccia di Giafar, suo visir, che l’accompagnava. Riavutosi tosto dalla sua debolezza, e con voce denotante estremo dolore, domandò dove la sua cara Tormenta fosse stata sepolta. — Signore,» gli disse Zobeide, «ho preso io medesima cura de’ suoi funerali, e nulla ho risparmiato per renderli magnifici. Ho fatto erigere un mausoleo di marmo al luogo della sua sepoltura, ed eccomi a servirvi di guida, se lo desiderate. —
«Non volle il califfo che Zobeide si prendesse quell’incomodo, e contentossi di farvisi condurre da Mesrur, andandovi nello stato in cui si trovava, cioè in abito di campagna. Quando vide il catafalco coperto di panno nero, i ceri accesi tutt’all’intorno e la magnificenza del mausoleo, stupì che Zobeide avesse celebrati i funerali della rivale con tanta pompa; ed essendo naturalmente sospettoso, diffidò della generosità della moglie, e pensò che la favorita potesse benissimo non esser morta; che Zobeide, approfittando della lunga di lui assenza, l’avesse forse scacciata dal palazzo, con ordine agli uomini incaricati di condurla, di trasportarla tanto lontano, che non se ne sentisse mai più parlare. E non ebbe altro sospetto, non intimando la consorte tanto perfida d’aver attentato ai giorni della favorita.
«Per chiarirsi da sè medesimo della verità, comandò quel principe che si levasse il catafalco, e fece aprire la fossa e la bara in sua presenza; ma quando vide il pannolino che avvolgeva il fantoccio di legno, non osò proceder oltre. Temeva quel religioso califfo d’offendere il culto permettendo che si toccasse il cadavere della defunta; e quello scrupoloso timore la vinse sull’amore e sulla curiosità: non dubitando più della morte di Tormenta, fece richiudere la bara, colmare la fossa, e rimettere il catafalco nello stato di prima.