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e bere buon vino, conversando piacevolmente sino all’ora di ritirarsi.

«Si posero ambedue a tavola, e si fecero sulle prime molti complimenti per le frutta che scambievolmente si presentavano. L’eccellenza del vino li impegnò a bere, e quand’ebbero bevuto due o tre bicchieri, si fecero una legge di non più bere senza prima cantar qualche arietta. Ganem cantava versi composti all’improvviso, ed esprimenti la forza di sua passione; e Tormenta, animata dall’esempio, componeva e cantava ella pure canzoni che riferivansi alla sua avventura, e nelle quali c’era sempre qualche cosa che Ganem poteva spiegare in proprio favore. Tranne questo, la fedeltà che la giovane doveva al califfo vi fu gelosamente custodita. Durò a lungo la cena, e la notte era già assai inoltrata, ehe non pensavano ancora a separarsi. Ganem, infine, si ritirò in un altro appartamento, e lasciò Tormenta in quello in cui trovavasi, e dove entrarono per servirla le schiave da lui comprate.

«Vissero in questa guisa parecchi giorni. Il giovane mercante non usciva se non per gli affari dell’ultima importanza, ed ancora prendeva il tempo che la sua dama riposava, non potendo risolversi a perdere uno solo dei momenti che gli fosse concesso di passare a lei vicino. Non occupavasi che della sua cara Tormenta, la quale, da parte sua, trascinata dalla propria inclinazione, gli confessò di non aver concepito minor amore per lui ch’egli non ne sentisse. Nonostante, per quanto accesi fossero l’uno dell’altra, la considerazione del califfo ebbe la forza di ritenerli nei limiti del dovere, più viva rendendo così la loro passione.

«Mentre Tormenta, strappata, per così dire, dalle mani della morte, passava sì gradevolmente il tempo presso Ganem, Zobeide non era senza imbarazzi nel palazzo di Aaron-al-Raschid.