Pagina:Le mille ed una notti, 1852, III-IV.djvu/206


188


lora, giudicando che avesse bisogno di mangiare, e non volendo incaricare niun altro, fuor di se medesimo, della cura di servire un’ospite tanto vezzosa, uscì seguito da uno schiavo, ed andò da un oste ad ordinarvi un pranzo, di là poi passando da un fruttaiuolo, dove scelse i più belli e migliori frutti, e facendo anche provvigione di eccellente vino e del medesimo pane che mangiavasi al palazzo del califfo.

«Di ritorno a casa, formò di propria mano una piramide di tutti i frutti comprati, e servendoli in persona alla dama sopra un bacino di porcellana finissima: — Signora,» le disse, «attendendo un cibo più sostanzioso e degno di voi, scegliete, di grazia, qualcuno di questi frutti.» Egli voleva restar in piedi: ma la donna gli disse che non toccherebbe nulla se non lo vedeva seduto, e non mangiasse con lei. Obbedì egli, e dopo ch’ebbero mangiato qualche boccone, Ganem, notando che il velo dalla dama postosi vicino sul sofà, aveva il lembo ricamato a caratteri d’oro, le chiese di vedere quel ricamo, e la dama, dato subito di piglio al velo, glielo presentò, domandandogli se sapesse leggere. — Signora,» rispos’egli in aria modesta, «un mercante farebbe male gli affari suoi se non sapesse almeno leggere e scrivere. — Or bene,» ripigliò quella, «leggete le parole ricamate su questo velo; sarà per me una bella occasione di raccontarvi la mia storia. —

«Ganem prese il velo, e vi lesse queste parole: «Io sono vostra e voi siete mio, o discendente dello zio del profeta.» Questo discendente dello zio del profeta era il califfo Aaron-al-Raschid, allora regnante, che discendeva da Abbas, zio di Maometto.

«Quando il giovane ebbe compreso il senso di queste parole: — Ah, signora!» sclamò mestamente; «io v’ho data la vita, ed ecco uno scritto che mi reca la morte! Non ne comprendo tutto il mistero, ma