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ricatosi sull’erba, fece il possibile per addormentarsi; ma la di lui inquietudine al trovarsi fuor di casa, glielo impedì. Si alzò, e dopo essere, passeggiando, passato e ripassato più volte davanti alla porta, l’aprì senza saperne il motivo, e subito scorse da lungi un lume che pareva venire alla sua volta. A tal vista, fu colto da paura; sospinse la porta, che chiudevasi appena con un saliscendi, e salì ratto in cima alla palma, la quale, nello spavento ond’era agitato, gli parve il più sicuro asilo che potesse trovare.
«Non vi fu appena accomodato, che, col favore del lume che avevalo atterrito, vide entrare nel cimitero, dove trovavasi, tre uomini, che dagli abiti riconobbe per ischiavi. Uno di costoro camminava innanzi con una lanterna, e gli altri due lo seguivano carichi d’una cassa lunga da cinque a sei piedi, che portavano sulle spalle; depostala in terra, uno de’ tre schiavi disse allora a’ suoi compagni: — Fratelli, se volete fare a mio modo, lasciamo qui questa cassa, e torniamo alla città. — No, no,» rispose un altro, «non è così che dobbiamo eseguire gli ordini della nostra padrona. Potremmo pentirci di averli trascurati; sotterriamo la cassa, giacchè così ci fu comandato.» Si arresero gli altri due schiavi alla di lui opinione, e cominciarono a scavare la terra con alcuni strumenti portati a tal uopo; quand’ebbero fatta una profonda fossa, vi calarono la cassa, e la coprirono colla terra che ne avevano levata. Usciti quindi dal cimitero, se ne andarono pe’ fatti loro.»
Scheherazade cessò di parlare, con gran dispiacere della sorella e del sultano, i quali avrebbero desiderato saper subito che cosa quella cassa poteva contenere. La sultana lo narrò loro la domane in codesti termini: