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si sia schiava, com’ebbi già l’onore di dire a vostra maestà, un re non può dominare la volontà. Siccome però ella parla d’una schiava capace di piacere ad un monarca e farsene amare, se la schiava è di condizione sì inferiore che non v’abbia proporzione, allora credo che possa stimarsi felice nella sua disgrazia. Ma pure, qual felicità? Essa non cesserà di ritenersi come una schiava strappata dalle braccia dei genitori, e forse d’un amante cui non lascerà d’amare per tutta la vita. Ma se la medesima schiava non cede in nulla al re che l’ha comperata, giudichi vostra maestà istessa del rigore della sua sorte, della miseria, dell’afflizione sua, del suo dolore, e di cosa possa ella essere capace. —

«Il re di Persia, maravigliato di quel discorso: — E che! signora,» replicò, «sarebbe possibile, come me lo fate intendere, che voi foste di sangue reale? Illuminatemi, di grazia, su tale proposito, e non aumentate viemaggiormente la mia impazienza. Istruitemi chi siano i felici genitori d’un tanto prodigio di beltà, chi sono i vostri fratelli, le sorelle, i parenti vostri, e soprattutto come vi chiamate.»

Scheherazade, scorgendo l’alba, cessò di parlare; il sultano, bramoso di sapere il nome e la storia della bella schiava, acconsentì con piacere ad ascoltare il seguito di quel racconto.


NOTTE CCLII


Scheherazade, ripigliando la parola: — Sire,» disse allora la bella schiava, «il mio nome è Gulnara del mare (1); mio padre, or defunto, era uno de’ più

  1. Gulnara significa, in persiano, rosa o fiore del melagrano.