Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
97 |
avevano pel proprio uso, ed una grossa somma di danaro per ciascheduna, lasciandole libere di maritarsi a chi loro più piacesse, e non tenne se non le matrone ed altre donne attempate, necessarie al servizio della bella schiava. Ma questa non gli diede neppur la consolazione di volgergli una sola parola per un intiero anno. Nondimeno non tralasciò egli di mostrarsi assiduissimo presso di lei con tutte le compiacenze immaginabili, e darle i contrassegni più manifesti d’una violentissima passione.
«L’anno era scorso, ed il re, seduto un giorno presso la sua bella, le protestava che il suo amore, invece di diminuire, cresceva ogni giorno più con maggior forza. — Mia regina,» le diceva egli, «non posso indovinare cosa ne pensiate; eppure non v’ha cosa più vera, ed io vi giuro che non desidero più nulla dacchè ho la fortuna di possedervi. Conto il mio regno, vasto com’è, meno d’un atomo, quando vi veggo, e vi possa dire mille volte che v’amo. Non voglio che le mie parole vi obblighino a crederlo; ma non potete dubitarne dopo il sacrifizio da me fatto alla vostra beltà, del gran numero di donne che teneva nel mio palazzo. Potete ricordarvene: è già un anno che le ho congedate tutte; nè me ne pento tanto al momento in cui vi parlo, quanto in quello che cessai di vederle, e non me ne pentirò giammai. Nulla mancherebbe alla soddisfazione, alla contentezza ed alla gioia mia, se mi volgeste una sola parola per di mostrarmi che me ne avete qualche obbligazione. Ma come potreste dirmela se siete muta? Aimè! temo purtroppo che ciò non sia! E come non temerlo dopo un anno intiero che vi prego mille volte al giorno di parlare, e che voi conservate un silenzio sì affliggente per me? Se m’è impossibile ottenere da voi potesta consolazione, faccia il cielo almeno che mi doniate un figlio per succedermi dopo la mia morte!