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tre più ricche gioie, affinchè scegliesse da sè ciò che meglio le convenisse.
«Le officiose matrone, le quali non avevano altro scopo fuorchè di piacere al re, rimasero anch’esse maravigliate della bellezza della schiava, e siccome se ne intendevano: — Sire,» gli dissero, «se vostra maestà ha la pazienza di lasciarci tre soli giorni, c’impegniamo di fargliela allora vedere tanto al di sopra di quello ch’è presentemente, che più non la riconoscerà.» Stentò il re a privarsi per tanto tempo del piacere di possederla. — Acconsento,» rispose in fine, «ma a condizione che mi manterrete la vostra promessa...»
Scheherazade, a questo passo, cessò di parlare; e la notte seguente, con licenza del sultano, ripigliò il racconto in questi termini:
NOTTE CCL
— Sire, la capitale del re di Persia era situata in un’isola, ed il suo magnifico palazzo sorgeva sulla spiaggia del mare. Siccome le sue stanze prospettavano su codesto elemento, quello della bella schiava, non lontano dal suo, godeva anch’esso la medesima vista, tanto più gradevole, in quanto che il mare frangevasi quasi appiè delle mura.
«Scorsi i tre giorni, la bella schiava, abbigliata ed adorna magnificamente, trovavasi sola nella sua stanza, seduta sur un sofà ed appoggiata al davanzale d’una finestra che guardava sul mare, quando il re, avvertito che poteva vederla, entrò. La schiava, che intese camminare nella stanza in diverso modo delle donne che l’avevano fin allora servita, volse subito