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mano al carnefice, e si recò presso al re, che già trovavasi nel suo gabinetto, onde pascere la vista insieme al sanguinoso spettacolo che si preparava.

«La guardia del re e gli schiavi del visir Sauy, che facevano un gran circolo intorno a Noreddin, provarono non poca pena a contenere il popolaccio, che faceva tutti gli sforzi possibili, ma inutilmente; per isforzarli, romperli, e liberarlo. Il carnefice si avvicinò a lui, e gli disse: — Signore, vi supplico a perdonarmi la vostra morte: io non sono che uno schiavo, e non posso dispensarmi dal fare il mio dovere: a meno che non abbiate bisogno di qualche cosa, mettetevi, di grazia, in pronto; il re sta per comandarmi di ferire.

«— In un momento sì crudele, non vi sarebbe qualche persona caritatevole,» disse il desolato Noreddin, volgendo la testa a destra ed a manca, «che volesse farmi la grazia di portarmi un po’ d’acqua per estinguere l’ardente mia sete?» Se ne recò un vaso sull’istante, cui si fece passare di mano in mano fino a lui. Il visir Sauy, che si avvide di quel ritardo, gridò al carnefice, dalla finestra del gabinetto del re dove trovavasi: — Che aspetti? Colpisci..... —

— Se lo permettete, sire,» disse Scheherazade, «vi dirò domani in qual modo Noreddin sfuggisse alla morte che lo minacciava.»


NOTTE CCXLIX


— Sire, a quelle barbare parole, piene d’inumanità, tutta la piazza rimbombò di vive imprecazioni contro Sauy; il re, geloso della sua autorità, non approvò quell’ardire alla propria presenza, dimostrandolo col