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strarla al visir Sauy, nemico irreconciliabile di Noreddin.

«Questi, il quale aveva riconosciuto il giovane, ed andava meditando fra sè con inquietudine a qual fine fosse venuto, non fu meno del re sorpreso dell’ordine che la lettera conteneva, e siccome non vi era meno interessato, immaginò in un attimo il mezzo di eluderlo. Finse di non averla ben percorsa, e per leggerla una seconda volta, si volse alquanto da parte come per cercare maggior luce: allora, senza che nessuno se ne avvedesse, e senza che ciò apparisse, a meno di guardarvi ben davvicino, lacerò via con destrezza la formola dall’alto della lettera, la quale significava che il califfo voleva essere assolutamente obbedito, e postasela in bocca, l’inghiottì.

«Dopo una tanta nequizia, Sauy si volse al re, e restituendogli la lettera, gli chiese sottovoce: — Ebbene, o sire, qual è l’intenzione di vostra maestà? — Di fare ciò che il califfo mi comanda,» rispose il re. — Guardatevene bene, o sire,» rispose il malvagio visir; «è bensi la scrittura del califfo, ma vi manca la formola.» Il re l’aveva benissimo notata, ma nel turbamento in cui trovavasi, s’immaginò, quando più non la vide, d’essersi ingannato.

«— Sire,» continuò il visir, - «non è a dubitare che il califfo non abbia concessa questa lettera a Noreddin, sulle lagnanze ch’egli sarà andato a fargli contro vostra maestà e contro me, per isbarazzarsi di lui: ma non ha inteso che voi eseguiate quanto essa contiene. Inoltre, è da considerare che non ha mandato un espresso colla patente, senza di che questa è inutile. Non si depone un re, come la maestà vostra, senza tale formalità: un altro allora, al pari di Noreddin, potrebbe venire egualmente con una falsa lettera; ciò non si è mai praticato. Sire, vostra maestà può riposare tranquilla sulla mia parola, e prendo su me tutto il male che ne può accadere. —