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tervi sapere quanto bramava. Accostatosi, vide ch’era un magnifico palazzo, o piuttosto un fortissimo castello di bel marmo nero lucido, coperto d’acciaio terso come uno specchio; pieno di gioia di non essere stato a lungo senza incontrare qualche cosa degna della sua curiosità, si fermò davanti alla facciata del castello a rimirarla con attenzione. Si avanzò poscia fino alla porta, fatta a due imposte, una delle quali era aperta; benchè adunque egli potesse liberamente entrare, pure si credè in dovere di battere. Bussò dapprima un colpo assai lieve, ed attese qualche tempo; non vedendo venire alcuno, s’immaginò di non essere stato udito, e battè quindi una seconda volta più forte; ma non vedendo nè udendo gente, raddoppiò i colpi; nè ancora alcuno comparve. Ciò lo sorprese all’estremo, non potendo persuadersi che un castello di tal bellezza fosse abbandonato. — Se non c’è alcuno,» pensava fra sè, «non ho da temer nulla; e se ci sarà gente, ho da difendermi.

«Infine il sultano entrò, ed inoltrandosi sotto al vestibolo: — Non ci sarà qui nessuno.» gridò, «per ricevere un viaggiatore, che avrebbe bisogno di reficiarsi?» Ripetè la medesima cosa due o tre volte; ma sebbene parlasse ad alta voce, niuno rispose. Quel silenzio aumentò il suo stupore. Penetrò in un ampio cortile, e guardando da tutti i lati per vedere se gli riusciva di scoprire qualcuno, non vide creatura vivente....

«Ma, sire,» disse in questo punto Scheherazade, «il giorno che spunta viene ad impormi silenzio. — Ah! sorella,» sclamò Dinarzade, «tu ci lasci sul più bello. — È vero,» rispose la sultana, «ma, sorella, anche tu ne vedi la necessità. Starà al sultano, mio padrone, il permettere che tu abbia ad udirne il resto domani.» Non fu tanto per compiacere Dinarzade, quanto per soddisfare la propria curiosità