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NOTTE XVIII


Dinarzade questa notte s’indennizzò della precedente, poichè destatasi molto prima di giorno, pregò tosto Scheherazade di raccontare il seguito della storia del pescatore e del genio, cui il sultano non meno di lei bramava ascoltare. — Eccomi pronta,» rispose la sultana, «a contentare la curiosità d’entrambi.» Allora, volgendosi a Schahriar: «Sire,» proseguì ella, «finita ch’ebbe il pescatore la storia del re greco e del medico Duban, ne fece l’applicazione al genio che sempre teneva chiuso nel vaso.

«— Se il re greco, » diss’egli, «avesse acconsentito a lasciare in vita il medico, Dio avrebbelo lascialo pur vivere anch’esso; ma perchè rigettò le sue più umili preghiere, Dio lo punì. Così pure fu di te, o genio; se avessi potuto placarti ed ottenere da te la grazia che ti domandava, avrei ora compassione dello stato in cui ti trovi; ma poichè, malgrado il grande obbligo che m’avevi per averti messo in libertà, hai persistito nella deliberazione d’uccidermi, io pure, alla mia volta, sarò spietato. Voglio adunque, lasciandoti in questo vaso, e gettandoti di nuovo in mare, toglierti l’uso della vita sino alla fine de’ secoli: è questa la vendetta che pretendo fare su te. — Pescatore, buon amico mio,» rispose il genio, «ti scongiuro di nuovo a non fare azione sì crudele. Pensa non essere virtù il vendicarsi, ma laudevol cosa è invero render bene per male; non trattarmi come Imma trattò una volta Ateca. — E che fece Imma ad Ateca?» chiese il pescatore. — Oh! se brami saperlo,» rispose il genio, «aprimi codesto vaso: credi tu ch’io abbia la voglia di contar storie in una sì angusta prigione? Novellerò fin che vorrai, quando