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liberami da un perfido che si è qui introdotto all’unico scopo di assassinarmi.

«A quel comando fatale, ben s’avvide il medico che le onorificenze ed i beneficii ricevuti avevangli suscitati nemici, e che il debol re s’era lasciato smovere dalle loro calunnie; pentissi allora d’averlo guarito dalla lebbra, ma troppo tardi. — Così dunque,» gli diceva, «mi ricompensate del bene che v’ho fatto?» Ma il re non volle ascoltarlo, e reiterò l’ordine allo sgherro di scagliare il colpo mortale. Ricorse allora il medico alle preghiere. — Deh! sire, prolungatemi la vita, e Dio prolungherà la vostra; non fatemi morire, affinchè Iddio non v’abbia a trattare nel medesimo modo.

«Il pescatore qui interruppe la sua narrazione, per volgere la parola al genio: — Orbene, genio, tu vedi che quanto accadde allora fra il re greco ed il medico Duban, è pure testè accaduto fra noi due.» Poi continuò: «Il re greco, in vece di piegarsi alla preghiera del medico, il quale scongiuravalo in nome di Dio, gli rispose duramente: — No, no, è di assoluta necessità che ti faccia perire. Potresti togliermi la vita più malignamente ancora che tu non m’abbia guarito.» Intanto il medico, struggendosi in lagrime, e dolendosi amaramente di vedersi sì mal corrisposto del servigio reso al re, si preparò al passo fatale; il carnefice, bendatigli gli occhi e legate le mani, si mise in punto di sguainare la scimitarra. Indarno i cortigiani ch’erano presenti, mossi a compassione, supplicarono il re di fargli grazia, assicurandolo ch’ei non era reo, e rispondendo tutti della sua innocenza. Il re fu inflessibile, e parlò loro in modo che non ardirono insistere. Il medico in ginocchio, cogli occhi bendati e presso a ricevere il colpo che doveva troncargli la esistenza, si volse per l’ultima volta al re, e gli disse: — Sire, poichè vostra maestà non vuol rivocare