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Qui Scheherazade, avvedendosi ch’era giorno, si fermò; ma Dinarzade le disse: — Tutto ciò che tu mi racconti, o sorella, è sì svariato, che mi sembra non esservi cosa più dilettevole. — Vorrei continuare a divertirti,» rispose quella; «ma non so se il sultano, mio padrone, me ne concederà il tempo.» Schahriar che non sentiva minor piacere di Dinarzade ad udire la sultana, si alzò, e passò la giornata senza ordinare al visir di farla morire.


NOTTE XV


Non fu Dinarzade in questa meno esatta delle precedenti notti a svegliare Scheherazade, e pregarla a narrarle uno de’ bei racconti che sapeva. — Suora mia,» rispose la sultana, «sono a darti tale soddisfazione. — Aspettate,» l’interruppe il sultano; «finite il colloquio del re greco col suo visir, a proposito del medico Duban, e poi continuerete la storia del pescatore e del genio. — Son tosto ad obbedirvi, sire,» ripigliò Scheherazade; e subito proseguì in cotal guisa:

«Quando il re greco,» disse al genio il pescatore, «ebbe terminata la storia del pappagallo, soggiunse: — E voi, visir, per l’invidia che concepiste contro il medico Duban, il quale non v’ha fatto alcun male, vorreste la sua morte; ma me ne guarderò bene, per tema di avermene a pentire, come accadde a quel marito dopo aver ucciso il suo pappagallo.» Il maligno visir troppo era interessato alla perdita del medico per ristarsi dal suo proposito. — Sire,» replicò dunque, «la morte del pappagallo era di poca importanza, e non so se il suo padrone lo avrà pianto a lungo. Ma perchè mai il timore di opprimere l’innocenza v’impedirà di far morire il medico? Non ba-

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