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ria, colla consolazione tuttavia che tale disgrazia non fosse accaduta a suo fratello Amgiad.

«Questo principe aspettò appiè del monte il fratello Assad fino a sera con grande impazienza, e quando vide ch’erano le due, le tre, le quattro ore di notte, e quegli non compariva, poco mancò non si abbandonasse alla disperazione. Passò la notte in quella desolante inquietudine, ed appena sorta l’alba, s’incamminò verso la città. Rimase alla prima maravigliatissimo non vedendo che pochissimi musulmani. Fermato il primo che incontrò, gli chiese com’ella si chiamasse. Udì ch’era la città de’ Magi, così denominata dai Magi adoratori del fuoco, che vi si trovavano in maggior numero, non essendovi se non assai pochi musulmani. Domandò pure quanta distanza fossevi da quel paese all’isola d’Ebano, e gli fu risposto che per mare v’erano quattro mesi di navigazione, e per terra un intiero anno di viaggio. L’individuo al quale erasi rivolto, dopo aver soddisfatto a quelle due domande, lo lasciò bruscamente, e proseguì la sua strada, avendo premura.

«Amgiad, il quale aveva impiegate sei sole settimane circa a venire dall’isola d’Ebano con suo fratello, non sapeva comprendere come avessero fatto tanto cammino in sì poco tempo; a meno che non fosse per incanto, o che la via della montagna, per la quale erano passati, non fosse una strada più corta, non immufrequentata a motivo della sua difficoltà. Camminando per la città, si fermò alla bottega d’un sartore, che dall’abito riconobbe per musulmano, come aveva già riconosciuto quello col quale aveva prima parlato. Sedette dunque presso di lui, e salutatolo cortesemente, gli raccontò il motivo dell’angustia in cui si trovava.

«Quando il principe Amgiad ebbe finito di parlare: — Se vostro fratello,» gli rispose il sartore, «è ca-