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«Passati i tre giorni, i due fratelli si rimisero in viaggio; e siccome la montagna era da quel lato a parecchi scaglioni di grandi campagne, impiegarono cinque giorni a giungere alla pianura. Quivi finalmente, con infinita loro gioia, scoprirono una grande città. — Fratello,» disse allora Amgiad ad Assad, «non siete anche voi del parere di starvene in qualche sito fuor della città, dove verrò poi a trovarvi, mentre io andrò alla scoperta, per informarmi come si chiama la città ed in qual paese ci troviamo? Tornando, avrò cura di portar viveri: credo esser meglio di non entrarvi alla prima amendue, nel caso che ci sia qualche danno da temere.
«— Fratello,» rispose Assad, «approvo il vostro consiglio, saggio e pieno di prudenza; ma se alcuno di noi deve per questo separarsi, non soffrirò mai che quello siate voi, e mi permetterete che me n’incarichi io. Qual dolore non sarebbe per me se vi accadesse qualche sinistro!
«— Ma, fratello,» ripigliò Amgiad, «la cosa medesima che voi temete per me, io deggio temerla per voi. Vi supplico di lasciarmi fare, ed aspettarmi con pazienza. — Non lo permetterò mai,» replicò Assad, «e se mi accade qualche cosa, avrò le consolazione di sapere che voi siete in sicurezza.» Amgiad fu costretto a cedere, e si fermò sotto alcuni alberi alle falde del monte.
«Il principe Assad prese un po’ di danaro, dalla borsa che il fratello portava, e continuò la sua strada fino alla città. Erasi da poco inoltrato nella prima via, che incontrò un vecchio venerabile, ben vestito, e che teneva in mano una canna. Siccome non dubitò non fosse un uomo distinto e che non avrebbe voluto ingannarlo, gli s’accostò, e: — Signore,» gli disse, «vi prego d’insegnarmi la strada della piazza pubblica. —