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di stento e di stanchezza. Pochi momenti dopo, sentendosi alquanto tornati in forze, animavansi reciprocamente e riprendevano a camminare.
«Malgrado la diligenza, il coraggio e gli sforzi loro, non fu ad essi possibile di giungere per quel giorno alla cima, e la notte li sorprese mentre Assad trovavasi sì stanco e rifinito di forze, che si fermò di botto. — Fratello,» disse al principe Amgiad, «non ne posso più, e sto per esalar l’anima. — Riposiamoci quanto vi piace,» rispose Amgiad, fermandosi anch’egli, «e fatevi coraggio: voi vedete che non ci resta molto a salire, e che la luna ci favorisce. —
«Dopo una buona mezz’ora di riposo, Assad fece un nuovo sforzo, e giunsero finalmente sulla vetta del monte, dove sostarono di nuovo. Amgiad si alzò pel primo, ed inoltrandosi, vide un albero a poca distanza. Andovvi, e trovato ch’era un melagrano, carico di grossi pomi, al cui piede sgorgava una fonte; corso ad annunciare la buona novella ad Assad, e lo condusse sotto l’albero presso alla sorgente, dove avendo entrambi mangiato uno di que’ frutti, si sdraiarono poi sull’erba e si addormentarono.
«La mattina appresso, quando i principi si furon svegliati: — Andiamo, fratello,» disse Amgiad ad Assad, «proseguiamo il nostro cammino; veggo che la montagna è molto più agevole da questo lato che non dall’altro, e non abbiamo se non a discendere.» Ma Assad sentivasi tanto stanco del dì indietro, che non gli abbisognarono meno di tre giorni per rimettersi intieramente, cui passarono discorrendo, come già avevano fatto più volte, della disordinata passione delle loro madri, che ebbeli ridotti in quello stato deplorabile. — Ma,» dicevano, «se Dio si è in guisa tanto visibile dichiarato per noi, dobbiamo sopportare con pazienza i nostri mali, e consolarci colla speranza ch’egli ce ne farà toccare la fine. —