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moriamo. Riceviamo la morte dalla mano di Dio, e la perdoniamo al re nostro padre, sapendo noi benissimo ch’egli non è stato ben informato della verità.»» —

«Camaralzaman, sensibilmente commosso dal racconto dell’emiro, si avvisò di frugare nelle tasche degli abiti dei due principi. Cominciando da quello di Amgiad, vi trovò un biglietto che aprì e lesse; nè appena ebbe conosciuto, non solo dal carattere, ma ben anche da una piccola ciocca di capelli che vi stava dentro, essere stato scritto dalla regina Haiatalnefus, che un brivido gli corse per le membra. Frugò, tutto tremante, in quello di Assad, ed il biglietto della regina Badura che vi trovò, lo colpì di sorpresa tanto amara, sì pronta e viva, che cadde svenuto…»

La sultana Scheherazade, la quale, a queste ultime parole, si avvide che il giorno già compariva, cessò di parlare. La notte seguente ripigliò la continuazione della sua storia, e disse al sultano delle Indie:


NOTTE CCXXX


— Sire, non mai dolore fu eguale a quello di cui diè segno Camaralzaman, quando rinvenne. — Che cosa mai tacesti, barbaro padre?» sclamò; «hai sagrificato i propri tuoi figliuoli! Figli innocenti! La saggezza loro, la modestia, l’obbedienza, la sommessione loro a tutti i tuoi voleri, la loro virtù, non ti parlavano abbastanza in loro difesa? Padre accecato, meriti tu che la terra ti sostenga dopo sì esecrabile delitto? Io mi sono gettato da me stesso in codest’abbominazione, ed è questo il castigo onde mi percuote Iddio per non aver perseverato nell’avversione contro le donne, in cui nacqui. Non laverò sì orrendo