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«Durante l’allontanamento dell’emiro, i due principi furono egualmente tormentati da ardentissima sete, cagionata dal terrore della morte, nonostante la generosa loro risoluzione di subire l’ordine crudele del re loro padre. Il principe Amgiad fece notare al fratello di non trovarsi lontani da una sorgente di limpida acqua, e gli propose di sciogliersi dai legami per andarne a bere. — Fratello,» rispose Assad, «pel poco tempo che abbiamo ancor da vivere, non val la pena di estinguere la sete; ben la sopporteremo per pochi altri momenti. —
«Senza badare a tal rimostranza, Amgiad si slegò; e sciolse suo malgrado anche il fratello: andarono quindi insieme alla fonte; e quando ebbero bevuto, udirono il ruggito del leone ed altissime strida nel bosco dov’erano entrati il cavallo e Giondar. Amgiad corse a prendere la scimitarra gettata dall’emiro, e disse ad Assad: — Fratello, corriamo in soccorso dell’infelice Giondar; forse giungeremo in tempo per liberarlo dal pericolo in cui si trova. —
«Non indugiarono i principi in tal pensiero, ed arrivarono nell’istante medesimo che il leone aveva atterrato Giondar. Il feroce animale, vedendo venirsi incontro il principe Amgiad colla sciabola alzata, lasciò la preda, e si spinse in gran furia contro di lui; ma questi lo ricevè con intrepidità, e gli menò tale un colpo, e con tanta forza e destrezza, che lo stese morto a terra.
«Quando Giondar ebbe conosciuto di dover la vita ai due principi, si gettò ai loro piedi, e li ringraziò per l’alta obbligazione che lor doveva, in termini che ben denotavano la sua riconoscenza. Principi,» disse, rialzandosi e baciando loro le mani, colle lagrime agli occhi, «mi guardi Iddio dall’attentare alla vostra vita, dopo lo splendido e cortese soccorso che mi prestaste! Non si rimprovererà mai all’emiro Giondar d’essere stato capace di sì nera ingratitudine. —