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e messili nella situazione che stimo più opportuna per non mancare di mozzar loro il capo in un sol colpo, chiese se avessero qualche cosa da comandargli prima di morire.
«— Siamo a pregarvi d’un’unica cosa,» risposero i principi; «di assicurar bene, cioè, al vostro ritorno il re nostro padre, che noi moriamo innocenti, ma che non gl’imputiamo lo spargimento del nostro sangue. In fatti, c’è noto ch’egli non è ben informato delle verità del delitto, onde siamo accusati.» Giondar promise che non mancherebbe di farlo, e nel tempo stesso sguainò la sciabola. Il suo cavallo, che stava legato ed un albero vicino, spaventato di quell’atto e del bagliore della scimitarra, spezzò la briglia, fuggì, e si mise a correre di galoppo per la campagna.
«Era un cavallo di gran valore e riccamente bardato, la cui perdita sarebbe assai dispiaciuta a Giondar; turbato di tal caso, invece di tagliare la testa ai principi, buttò via la sciabola, e corse dietro al cavallo per raggiungerlo. Il cavallo, che era robusto, fece parecchie capriole davanti a Giondar, e lo condusse fino ad un bosco, nel quale si gettò. Lo seguì l’emiro, ma i nitriti del cavallo avendo svegliato un leone che dormiva, il feroce animale accorse, ed invece di volgersi al cavallo, corse difilato al padrone; appena lo ebbe veduto.
«Non pensò più questi al destriero, trovandosi in ben maggior imbarazzo per la conservazione della propria vita, e cercò di evitare l’assalto del leone, il quale non lo perdeva di vista, e lo seguiva da vicino framezzo agli alberi. In tale estremità: — Dio non mi manderebbe questo castigo,» diceva fra sè, «se i principi, ai quali mi fu comandato di togliere la vita, non fossero realmente innocenti; e per colmo di sciagura non ho neppure la mia sciabola per potermi difendere. —