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prendeva la via della dimora noleggiata per lei. Ei la ricevette come il figlio d’un re suo amico, col quale aveva sempre vissuto in buona armonia, e la condusse al proprio palazzo, dove l’alloggiò con tutta la sua gente, senza alcun riguardo alle istanze di lei, che lo pregava di lasciarla in privato. Le fece egli inoltre tutti gli immaginabili onori, e la banchettò per tre giorni con istraordinaria magnificenza.

«Passati i tre giorni, vedendo il re Armano che la principessa, da lui sempre creduta pel principe Camaralzaman, parlava di tornarsi ad imbarcare e proseguire il viaggio, ed essendo incantato di vedere un giovane sì leggiadro, di bell’aspetto e di moltissimo spirito, la prese in disparte, e: — Principe,» le disse, «nell’età avanzata in cui mi vedete, con pochissima speranza di vivere ancora molto tempo, ho il dispiacere di non aver un figlio, al quale poter lasciare il mio regno. Il cielo mi ha concesso soltanto un’unica figliuola di una bellezza che non può esser meglio accoppiata quanto con un principe sì ben fatto, di nascita sì illustre, e compito come voi siete. Invece di pensar a tornare a casa vostra, accettatela di mia mano insieme alla mia corona, alla quale rinuncio a vostro favore fin da questo istante, e restate con noi. È ormai tempo ch’io riposi dopo averne sostenuto il peso per sì lunghi anni, e non posso farlo con maggior consolazione di quella, che di vedere governati i miei stati da un sì degno successore…»

Voleva la sultana Scheherazade proseguire, ma il giorno, che già compariva, la costrinse al silenzio. Riprese però la notte seguente il medesimo racconto, e disse al sultano delle Indie: