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to al soggetto della loro missione, partivano almeno contentissimi delle gentilezze e degli onori ricevuti.
«— Sire,» diceva la principessa al re della China, «voi volete maritarmi, e credete con ciò di farmi gran piacere. Ne sono persuasa, e mi vi professo obbligatissima. Ma ove potrei, come presso alla maestà vostra, trovar palazzi sì superbi e giardini tanto deliziosi? Aggiungo che, sotto il vostro beneplacito, io non sono costretta a fare le altrui volontà, e che mi si rendono gli onori medesimi come alla vostra stessa persona. Sono vantaggi che non troverò in alcun altro luogo del mondo, a qualunque sposo mi volessi dare. I mariti vogliono sempre esserci padroni, ed io non sono d’umore da lasciarmi comandare. —
«Dopo parecchie ambasciate, ne giunse una per parte d’un re più ricco e potente di tutti quelli che eransi presentati. Ne parlò il re della China alla principessa sua figliuola, e le esagerò i vantaggi cui ridondati gliene sarebbe accettandolo in isposo. La principessa lo supplicò di volernela dispensare, adducendogli le medesime ragioni di prima; egli la sollecitò, ma invece di arrendersi, essa perdette il rispetto che doveva al re suo padre. — Sire,» gli disse incollerita, «non mi parlate più di questo matrimonio, nè di qualunque altro; altrimenti mi pianterò un pugnale nel seno, liberandomi così dalle vostre importunità. —
«Il re della China, estremamente sdegnato contro la principessa, le rispose: — Figliuola, voi siete una pazza, e come tale vi tratterò.» In fatti, la fece rinchiudere in un appartamento isolato d’uno de’ suoi palazzi, e le diede dieci sole vecchie per tenerle compagnia e servirla, di cui la principale era la sua nutrice. Poscia, affinchè i re vicini, che gli avevano mandato ambasciatori, più non pensassero a lei, spedì inviati ad annunciar loro la ripugnanza che la principessa sentiva pel matrimonio; e non dubitando
Mille ed una Notti. II. | 18 |