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essa di que’ geni che il gran Salomone costrinse a riconoscere dopo quel tempo.

«Il genio, che chiamavasi Danhasch, ed era figliuolo di Schamhurasch, riconobbe anch’esso Maimona, ma con molto spavento. In fatti, era egli costretto a confessare che la fata aveva su lui una grande superiorità per la sua commissione a Dio, ed avrebbe perciò voluto evitarne l’incontro; ma se le trovò tanto vicino, che bisognava battersi o cedere.

«Danhasch prevenne la fata. — Buona Maimona,» le disse con supplichevole accento, «giuratemi, pel gran nome di Dio, di non farmi alcun male, ed io vi prometto da parte mia di non farne a voi.

«— Maledetto genio,» rispose Maimona, «che male mi potresti tu recare? Io non ti temo. Pur voglio accordarti questa grazia, e faccio il giuramento che mi domandi. Ora dimmi d’onde vieni, cosa hai veduto, e che facesti questa notte. — Bella dama,» rispose Danhasch, «voi m’incontrate a proposito per udire qualche cosa di maraviglioso...»

Schahriar, scorgendo l’aurora, si alzò per far la preghiera, e dedicarsi alle cure del suo impero. Permise quindi alla sultana di continuare il suo racconto la notte seguente, ed essa fecelo in questi termini:


NOTTE CCXIV


— Sire,» diss’ella, «il genio ribelle a Dio soggiunse, parlando a Maimona:

«— Poichè lo desiderate, vi dirò che vengo dalle estremità della China, vicino alle ultime isole di questo emisfero... Ma, vezzosa Maimona,» disse qui Danhasch, il quale tremava di paura alla presenza della fata, e stentava a parlare, «mi prometterete al-