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voi vi fermate sopra alcune, delle quali parlano i vostri libri, che hanno prodotto, a dir vero, gravi disordini, e ch’io non voglio scusare. Ma perchè non fate attenzione a tanti monarchi, a tanti sultani, a tanti altri principi privati, le cui tirannidi e crudeltà fanno orrore al solo leggerle nelle storie, ch’io conosco al par di voi? Per una sola donna, troverete mille di questi tiranni e di questi barbari. E le donne oneste e savie, figlio mio, le quali hanno la disgrazia di trovarsi maritate a quei furibondi, credete voi che siano molto felici?

«— Signora,» riprese Camaralzaman, «non negherò che ci sia buon numero di donne savie, virtuose, buone, dolci e di ottimi costumi. Dio volesse che vi somigliassero tutte! Quanto mi ributta, è la scelta dubbiosa che un uomo è costretto di fare per ammogliarsi, o piuttosto, che non gli si lascia spesso la libertà di fare a suo modo. Supponiamo che mi determini al matrimonio, come il sultano mio padre desidera con tanta impazienza; qual donna mi darà? Una principessa probabilmente, ch’egli domanderà a qualche principe suo vicino, il quale si farà un grande onore di tosto accordargliela. Bella o brutta, bisognerà prendersela. Voglio anche ammettere che nessun’altra principessa le sia paragonabile per avvenenza. Chi può arguire che avrà l’animo ben fatto; che sarà destra, compiacente, manierosa, obbligante; che saprà parlare di cose solide, e non di soli abbigliamenti, di acconciature, d’ornamenti e mille altre futilità che devono sembrar ridicole ad ogni uomo di buon senso; in una parola, ch’essa non sarà altiera, disgustosa, arrogante, e non rovinerà tutto uno stato colle sue frivole spese d’abiti, di gioie, di galanterie, e la sua magnificenza pazza e malintesa? Come vedete, o signora, ecco, sur un solo articolo, un’infinità di cose per le quali devo disgustarmi affatto del matrimonio.