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tanta bellezza, che gli diede il nome di Camaralzaman, Luna del secolo.

«Il principe Camaralzaman fu educato con tutte le immaginabili cure; e quando giunse all’opportuna età, il sultano Schahzaman, suo padre, gli diede un buon aio ed abili precettori. Celesti personaggi, distinti per la loro capacità, trovarono in lui uno spirito pronto, docile, capace di ricevere tutte le istruzioni che gli vollero dare, tanto per la regola de’ suoi costumi, quanto per le cognizioni che un principe, suo pari, doveva possedere. In età più adulta, imparò egualmente tutti i suoi esercizi, e li adempiva con una grazia e destrezza maravigliosa, colle quali incantava tutti, e particolarmente il sultano suo padre.

«Compiti ch’ebbe il principe i quindici anni, il sultano, che teneramente lo amava, e gliene dava ogni dì più nuove prove, concepì il pensiero di dargliene la più splendida, quella di scendere dal trono e collocarvelo. Ne parlò al gran visir. — Temo,» gli disse, «che mio figlio non perda nell’ozio della gioventù non solo tutti i vantaggi dei quali colmato lo ha la natura, ma quelli eziandio acquistati con tanto esito nella buona educazione che ho cercato di dargli. Siccome sono ormai in età da pensare al riposo, ho quasi risoluto di abbandonare il governo nelle sue mani, e passare il resto de’ miei giorni colla soddisfazione di vederlo regnare. È molto tempo che lavoro, ed ho bisogno ormai di quiete. —

«Non volle il gran visir rappresentare al sultano tutte le ragioni che avrebbero potuto dissuaderlo dall’eseguire la concepita risoluzione; ma entrò invece nel suo sentimento. — Sire,» rispose, «il principe è ancora molto giovane, mi sembra, onde incaricarlo sì per tempo d’un fardello tanto pesante qual è quello di governare una vasta monarchia. Vostra maestà, teme che non si corrompa nell’ozio, e con ragione: ma per