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qual cosa, giudicate voi ch’io abbia affari nel palazzo del califfo? — Ne giudico,» ripigliò il gioielliere, «dalla schiava testè uscita. — E a chi credete voi che quella schiava appartenga?» soggiunse il principe. — A Schemselnihar, favorita del califfo,» rispose il gioielliere. «Conosco,» proseguì egli, «quella schiava, ed anche la sua padrona, che mi ha fatto qualche volta l’onore di venire in casa mia a comprar gioielli. So inoltre che Schemselnihar non tien celato nulla a questa schiava, che da alcuni giorni veggo andare e venire per le strade, ed assai affaccendata, a quanto pare. M’immagino che sia per qualche affare di conseguenza che risguardi la sua padrona. —

«Quelle parole del gioielliere turbarono estremamente il principe di Persia. — Egli non mi parlerebbe a questo modo,» disse fra se, «se non sospettasse, o piuttosto se non sapesse il mio segreto.» Rimase qualche tempo in silenzio; non sapendo a qual partito appigliarsi; ma finalmente, fattosi coraggio, così prese a favellare al gioielliere: — Voi venite a dirmi cose tali che mi fanno di leggieri supporre saperne voi molto più che non diciate. È importante per la mia quiete ch’io ne sia perfettamente in chiaro: vi scongiuro a non dissimularmi cosa alcuna. —

«Allora il gioielliere, il quale non desiderava nulla di meglio, gli, fece un’esposizione minuta del colloquio avuto con Ebn Thaher; e così gli dimostrò d’essere istruito della relazione di lui con Schemselnihar, ne dimenticò di dirgli che Ebn Thaher, spaventato dal pericolo, in cui lo avvolgeva la sua qualità di confidente, avevalo messo a parte del disegno formato di ritirarsi a Balsora, e quivi fermarsi finchè dissipato fosse il nembo che temeva. — E così egli ha fatto,» aggiunse quindi, «e sono sorpreso che abbia potuto risolversi ad abbandonarvi nello stato, in cui mi