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que ch’io sono una fata, e che trovandomi in riva al mare quando stavate per imbarcarvi, fui presa da grande inclinazione per voi. Allora volli esperimentare la bontà del vostro cuore, e mi presentai travestita a quel modo. Voi mi trattaste generosamente, ed ora somma è la mia gioia d’aver trovata l’occasione di mostrarvi la mia gratitudine. Però sono irritata contro i vostri fratelli, nè sarò paga finchè non li abbia tolti di vita.
«Io ascoltai con ammirazione il discorso della fata, e la ringraziai il meglio che seppi dell’obbligo grande che le doveva. — Ma, signora,» le dissi, «riguardo a’ miei fratelli, io vi supplico di perdonar loro: qualunque sia il motivo ch’io abbia a dolermi di essi, non sono sì crudele da volerne la morte.» Allora le narrai quant’io aveva fatto per amendue; ma il mio racconto accrebbe a mille doppi il di lei sdegno. — Voglio,» disse, «volar tosto in traccia di que’ traditori, e trar di loro pronta vendetta. Sommergerò i loro vascelli, e precipiterò que’ due ingrati negli abissi del mare. — No, mia bella signora,» risposi io, «in nome di Dio, non fatelo, moderate il vostro furore, e pensate che sono miei fratelli, ed esser d’uopo render bene per male.
«La fata s’acquetò a tali parole, e presomi fra le braccia, mi trasportò in un momento dall’isola, ov’eravamo, sul tetto della mia casa, ch’era a terrazza, e sparve. Allora discesi, aprii le porte, e dissotterrai i tremila zecchini da me nascosti. Mi recai quindi alla bottega, ed apertala, ricevetti da’ mercadanti miei vicini mille complimenti sul mio ritorno. Quando tornai a casa, mi vidi venire incontro con aria dimessa questi due cani neri. Io non sapeva che cosa pensare, e n’era assai maravigliato, quando la fata, comparendomi dinanzi, me lo spiegò. — Marito mio,» diss’ella, «non siate sorpreso di vedere questi due cani