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Questo lo calò nella camera del provveditore, il quale lo portò in istrada, ove fu creduto che il mercadante lo avesse ucciso. Ecco, sire,» aggiunse il sarto, «che cosa aveva io a dire per soddisfar vostra maestà. Sta in lei il pronunciare se siamo degni della clemenza o della collera sua, della vita o della morte. —

«Il sultano di Casgar lasciò trasparir sul volto un’aria contenta che ridonò la vita al sartore ed a’ suoi colleghi. — Non posso disconvenire,» diss’egli, «di non essere rimasto più colpito dalla storia del giovane zoppo, di quella del barbiere e delle avventure de’ suoi fratelli, che non dalla storia del mio buffone. Ma prima di rimandarvi tutti e quattro a casa, e che il corpo del gobbo sia seppellito, vorrei veder il barbiere, sola cagione ch’io vi perdoni; giacchè si trova qui, è agevole contentare la mia curiosità.» E nello stesso tempo spedì un usciere per mandarlo a cercare in compagnia del sartore, il quale sapeva dove trovarlo.

«Tornarono in breve il sarto e l’usciere, conducendo il barbiere, cui presentarono al sultano. Era costui un vecchio che poteva avere novant’anni, colla barba e le sopracciglia bianche come neve, le orecchie pendenti e lungo il naso. Non seppe frenarsi il sultano dal riso, vedendolo. — Uomo silenzioso,» gli disse, «ho saputo che conoscete molte storie maravigliose; vorreste raccontarmene qualcuna? — Sire,» rispose il barbiere, «lasciamo, di grazia, lasciamo adesso: le storie che io possa sapere. Supplico umilmente vostra maestà di permettermi che gli domandi cosa facciano qui davanti a lei questo cristiano, l’ebreo, il musulmano, e quel gobbo morto che veggo disteso là per terra.» Sorrise il sultano della libertà del barbiere, e soggiunse: — Che cosa v’importa? — Sire,» ripigliò il barbiere, «m’importa di fare questa domanda affinchè vostra maestà sappia, ch‘ io non