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cercarlo; è molto tempo che corro di provincia in provincia, e quando meno ci pensava, oggi l’ho incontrato: ma non mi aspettava mai di vederlo tanto irritato contro di me....»

Scheherazade, a tal punto, accorgendosi ch‘era giorno, tacque; e la notte successiva riprese il filo del suo discorso in questi termini:


NOTTE CLXXXIII


— Sire, il sartore finì di raccontare al sultano di Casgar la storia del giovane zoppo e del barbiere di Bagdad, nel modo ch’ebbi l’onore di riferire a vostra maestà.

«— Quando il barbiere,» proseguì poi il sarto, «ebbe finita la sua storia, trovammo tutti che il giovane non aveva avuto torto di accusarlo d’essere un parlatore eterno. Nullostante volemmo che rimanesse con noi, e fosse del banchetto regalatoci dal padrone di casa. Messici dunque a tavola, ci divertimmo fino alla preghiera tra mezzodì ed il tramonto. Allora tutta la compagnia si separò, ed io venni a lavorare nella mia bottega, aspettando l’ora di tornare a casa.

«Fu in questo intervallo che il gobbetto, mezzo briaco, si presentò davanti alla mia bottega, cantando e suonando il tamburello: io credetti che, conducendolo meco a casa, non mancherei di divertire mia moglie, e ciò mi spinse a farlo. Ci ammannì essa un piatto di pesce, ed io ne servii un pezzo al gobbo, il quale lo mangiò senza badare che c’era una resta. Cadde dunque senza vita alla nostra presenza; invasi da timore, e nell’imbarazzo in cui ci mise un sì innesto avvenimento, non esitammo a portarne il corpo fuori di casa, e lo facemmo destramente ricevere dal medico ebreo.

Mille ed una Notti. II. 11