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sumesse cotal forma, anzichè un’altra più dispiacevole, acciò potessimo vederla nella famiglia senza ribrezzo.
«Da quel tempo, mio figlio restò vedovo e si mise a viaggiare; essendo omai trascorsi vari anni senza ch’io ne abbia nuova, mi son posto in cammino per rintracciarlo; e non volendo affidare ad alcuno la custodia di mia moglie, mentr’io sarei andato in cerca di lui, stimai opportuno di condurla ovunque con me. Ecco la mia storia e quella di questa cerva. Non è dessa da porsi fra le più sorprendenti e maravigliose? — Lo concedo,» disse il genio, «e mercè sua t’accordo il terzo della grazia di questo mercadante.
«Quando il primo vecchio, o sire,» continuò la sultana, «ebbe finito il suo racconto, il secondo che conduceva i due cani neri, voltosi al genio, gli disse: — Or io mi accingerò a narrarvi le avventure mie e di questi due cani neri. Son certo che la mia storia vi parrà ancor più stupenda di quella poc’anzi narrata. Ma quando l’avrò finita, m’accorderete voi il terzo della grazia di questo infelice? — Sì,» rispose il genio, «quando la tua storia sia superiore a quella della cerva.» Ottenuto il consenso, il secondo vecchio cominciò di tal guisa...»
Ma Scheherazade, nel proferire queste ultime parole, scorgendo il giorno, cessò di parlare. — Oh cielo, sorella,» disse Dinarzade, «quanto mi sembrano strane queste avventure. — Sorella,» rispose la sultana, «esse non sono da paragonarsi a quelle che mi restano a narrarvi la prossima notte, se il sultano, mio signore e padrone, ha la bontà di lasciarmi in vita.» Schahriar non rispose; ma alzatosi, recitò la sua preghiera, e recossi al consiglio, senza dare alcun ordine contro la vita della leggiadra Scheherazade.