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a vuoto, dicendo a mio fratello: — Mangia, ospite mio, ve ne prego; fate liberamente come se foste in casa vostra; mangiate, vi dico: mi sembra che per un uomo affamato mi facciate poco onore. — Perdonatemi, signore,» rispose Schacabac, imitandone i gesti, «vedete che non perdo tempo, e che faccio assai bene il mio dovere. — Che ne dite di questo pane?» ripigliò il Barmecida; «non lo trovate eccellente? — Ah signore!» riprese mio fratello, il quale non vedeva pane nè carne, «non ne ho mai mangiato di sì bianco e squisito. — Mangiatene dunque a sazietà,» replicò il Barmecida; «vi accerto che ho pagata cinquecento pezze d'oro la fornaia che me lo fa sì bene.
Voleva Scheherazade continuare; ma il giorno che appariva la costrinse a fermarsi. La notte seguente proseguì in questa guisa:
NOTTE CLXXXI
— «Il Barmecida,» disse il barbiere, «dopo aver parlato della sua schiava fornaia, e vantato il suo pane, che mio fratello non mangiava se non in pensiero, gridò: — Schiavo, portaci un altro piatto. Buon ospite,» disse poi a mio fratello (ancorchè uno fosse comparso), «gustate di questa nuova vivanda, e ditemi se mai mangiaste castrato all’orzo mondo meglio accomodato di questo. — È stupendo!» rispose mio fratello; «e ne voglio prendere appunto ancora. — Quanto piacere mi fate!» ripigliò il Barmacida. «Vi scongiuro, per la soddisfazione che provo al vedervi mangiare sì bene, di non lasciar nulla di queste vivande, giacchè le trovate tanto di vostro gusto.» Poco dopo ordinò un’oca in salsa dolce,