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che ha bisogno dell’assistenza dei signori potenti e generosi come voi.» Non poteva rivolgersi meglio che a quel signore, assai commendevole per mille virtù.

«Il Barmecida parve maravigliato della risposta di mio fratello; e portandosi le mani al petto, come per lacerarsi l’abito in sogno di dolore: — È egli possibile,» sclamò, «che io mi trovi a Bagdad, e che un’uomo pari vostro sia nella necessità che dite? Ecco quanto non posso tollerare.» A tali dimostrazioni, mio fratello, avvisando che stesse per dargli un luminoso contrassegno della sua liberalità, gli diede mille benedizioni, augurandogli ogni sorta di beni. — Non sarà detto,» ripigliò il Barmecida, «che io vi abbandoni, e non intendo nemmeno che voi mi abbandoniate. — Signore,» replicò mio fratello, «vi giuro che non ho mangiato nulla in tutto il giorno. — Sarebbe mai vero,» tornò a dire il Barmecida, «che siate ancor digiuno a quest’ora? Oh misero me! ei muore di fame! Olà, giovinotti,» soggiunse, alzando la voce, «si portino subito il bacile e l’acqua, per lavarci le mani.» Benchè nessuno comparisse, e che mio fratello non vedesse nè bacile, nè acqua, il Barmecida non tralasciò di stropicciarsi le mani come se qualcuno gli avesse versata sopra l’acqua; e ciò facendo, diceva a mio fratello: — Orsù, accostatevi e lavatevi con me.» Schacabac giudicò allora che il Barmecida volesse ridere; e siccome amava anch’egli gli scherzi, e d’altronde non ignorava la compiacenza che i poveri debbono avere pei ricchi, se vogliono trarne partito, si avvicinò e fece come lui.

«— Suvvia,» disse poi il Barmecida, «si porti da mangiare, e non fateci attendere.» E finite quelle parole, benchè non avessero recato nulla, cominciò a fare come se avesse preso qualche cosa da un piatto, a portarla mano alla bocca, e masticare